Lettera di Pauli al Presidente dell’Istituto Jung (Zollikon – Zurigo, 22 luglio 1957)
Esimio Presidente1,
sono venuto alla conclusione che in questi ultimi anni il modello scientifico dell’Istituto Jung e dei suoi insegnanti, che dovrebbero formare analisti, si sia andato perdendo. Ora, come consulente scientifico2 dell’Istituto stesso considero che la mia funzione sia quella di rivalutare la scienza nella vostra psicologia, per cui io esigo un Suo chiarimento su ciò che sta avvenendo. Non entro in merito ai valori spirituali che come ben so la psicologia analitica anche considera; questo non è mio compito. Anzi, riconosco che tale psicologia riguarda soprattutto lo spirito, ma debbo anche dire come Jung guardasse alle scienze, e soprattutto alla fisica3, con grande attenzione, tanto da augurarsi una cooperazione tra le varie discipline. Mi dispiace dire che tale cooperazione, allo stato attuale, secondo me, non c’è. E Lei, per certi versi, ne è un po’ la causa.
Ed anche un’altra cosa. Mi sono sorpreso che Lei tenga conto soprattutto del numero degli allievi presenti alle lezioni, a prescindere dal docente che le tiene. Le Sue lezioni, debbo dirlo, hanno avuto, come sappiamo, un certo riconoscimento. Sicuramente il numero, ma anche la qualità degli studenti è dipeso da Lei. E questo è stato sicuramente un suo merito. Ma vorrei chiederLe, mi dispiace dirlo, se ne sono gli studenti giovati in pratica? Penso che ai fini della professione sicuramente no, perché per una vera formazione in psicoanalisi occorrono necessariamente anche le lezioni che si svolgono al Politecnico4.
Per ritornare a quanto detto all’inizio, forse Lei dovrebbe far eseguire agli studenti dei lavori scientifici, anche dopo le Sue lezioni, che avrebbero allora una maggiore completezza.
Ed ora un altro appunto sulla formazione dei nuovi analisti alla quale tale Istituto dovrebbe presiedere. Mi sembra che ci sia come un certo scadimento, oltre a quanto detto, anche nel senso che a causa dell’indulgenza che vige nella nostra Scuola che essi abbiano, o possano avere, diversi pazienti (anche per ragioni economiche, lo riconosco), la loro formazione ne risente e il termine degli studi avviene in modo affrettato.
Prima, ricordo, che ciò, per i futuri analisti, non era possibile, anche perché non era facile trovare dei pazienti. Adesso è diventata un’abitudine, pure perché, per le Sue attuali direttive, trattare più pazienti sarebbe un buon esercizio, anche se poi è invece una minaccia per l’equilibrio psichico dell’analista stesso,che dovrà allora interrompere il suo lavoro.
Ora, per sventare tale pericolo, esiste, mi dicono, una specie di psicoterapia di gruppo per gli analisti. Ciò è, secondo il mio parere, totalmente negativo, specie perché il giovane terapeuta rimane, sempre secondo me, come «arroccato» sul suo Io, sulla sua coscienza, senza relazionarsi con l’inconscio dove ci sono poi i contenuti, le dinamiche che spiegano i disturbi nevrotici o psicotici che siano.
Dunque, per concludere, la svalutazione di tutto ciò che è scientifico, ma che riguarda anche l’uomo (e non parlo solo dei sogni e delle fantasie) ha snaturato, assieme all’affrettata conclusione degli studi, il carattere dello junghismo nell’Istituto e negli allievi, per cui la prassi psicoterapica non scientifica, così com’è diventata, come la psicoterapia di gruppo dei nuovi analisti, io la considero da una vera dabbenaggine.
La prego almeno di chiarire ciò che ho detto e sostengo con i nuovi Soci dell’Istituto, (ma ci spero poco), affinché le mistificazioni e le deviazioni della dottrina junghiana non siano portate al parossismo.
Mi permetta poi un’altra osservazione. Già Jung aveva sottolineato nei suoi scritti che il futuro analista doveva, a sua volta, essere stato analizzato. Io chiedo perché questa disposizione junghiana non venga rispettata nell’Istituto, in modo da garantire ai suoi componenti una preparazione adeguata. Certo Jung, data la sua età5, non può adempiere a tale compito.
Potrei, da parte mia, suggerire all’analista che non ricorda tale disposizione, di sottoporsi al test delle associazioni verbali, che potrebbe, di certo, a delle rivelazioni sconcertanti sul suo stato psichico e sui suoi complessi.
Vorrei pure portare altre critiche alla gestione dell’Istituto, ma non avrebbe il tempo neppure di leggerle, dato il numero esorbitante delle stesse.
Pretendo comunque quale «patrono scientifico» di detto «Centro Studi» che Ella metta a conoscenza gli altri membri del Curatorium dell’Istituto della mia disapprovazione nella gestione dello stesso.
Attendo una risposta a riguardo per l’inizio del prossimo semestre.
Con osservanza,
Sig. W. Pauli
sono venuto alla conclusione che in questi ultimi anni il modello scientifico dell’Istituto Jung e dei suoi insegnanti, che dovrebbero formare analisti, si sia andato perdendo. Ora, come consulente scientifico2 dell’Istituto stesso considero che la mia funzione sia quella di rivalutare la scienza nella vostra psicologia, per cui io esigo un Suo chiarimento su ciò che sta avvenendo. Non entro in merito ai valori spirituali che come ben so la psicologia analitica anche considera; questo non è mio compito. Anzi, riconosco che tale psicologia riguarda soprattutto lo spirito, ma debbo anche dire come Jung guardasse alle scienze, e soprattutto alla fisica3, con grande attenzione, tanto da augurarsi una cooperazione tra le varie discipline. Mi dispiace dire che tale cooperazione, allo stato attuale, secondo me, non c’è. E Lei, per certi versi, ne è un po’ la causa.
Ed anche un’altra cosa. Mi sono sorpreso che Lei tenga conto soprattutto del numero degli allievi presenti alle lezioni, a prescindere dal docente che le tiene. Le Sue lezioni, debbo dirlo, hanno avuto, come sappiamo, un certo riconoscimento. Sicuramente il numero, ma anche la qualità degli studenti è dipeso da Lei. E questo è stato sicuramente un suo merito. Ma vorrei chiederLe, mi dispiace dirlo, se ne sono gli studenti giovati in pratica? Penso che ai fini della professione sicuramente no, perché per una vera formazione in psicoanalisi occorrono necessariamente anche le lezioni che si svolgono al Politecnico4.
Per ritornare a quanto detto all’inizio, forse Lei dovrebbe far eseguire agli studenti dei lavori scientifici, anche dopo le Sue lezioni, che avrebbero allora una maggiore completezza.
Ed ora un altro appunto sulla formazione dei nuovi analisti alla quale tale Istituto dovrebbe presiedere. Mi sembra che ci sia come un certo scadimento, oltre a quanto detto, anche nel senso che a causa dell’indulgenza che vige nella nostra Scuola che essi abbiano, o possano avere, diversi pazienti (anche per ragioni economiche, lo riconosco), la loro formazione ne risente e il termine degli studi avviene in modo affrettato.
Prima, ricordo, che ciò, per i futuri analisti, non era possibile, anche perché non era facile trovare dei pazienti. Adesso è diventata un’abitudine, pure perché, per le Sue attuali direttive, trattare più pazienti sarebbe un buon esercizio, anche se poi è invece una minaccia per l’equilibrio psichico dell’analista stesso,che dovrà allora interrompere il suo lavoro.
Ora, per sventare tale pericolo, esiste, mi dicono, una specie di psicoterapia di gruppo per gli analisti. Ciò è, secondo il mio parere, totalmente negativo, specie perché il giovane terapeuta rimane, sempre secondo me, come «arroccato» sul suo Io, sulla sua coscienza, senza relazionarsi con l’inconscio dove ci sono poi i contenuti, le dinamiche che spiegano i disturbi nevrotici o psicotici che siano.
Dunque, per concludere, la svalutazione di tutto ciò che è scientifico, ma che riguarda anche l’uomo (e non parlo solo dei sogni e delle fantasie) ha snaturato, assieme all’affrettata conclusione degli studi, il carattere dello junghismo nell’Istituto e negli allievi, per cui la prassi psicoterapica non scientifica, così com’è diventata, come la psicoterapia di gruppo dei nuovi analisti, io la considero da una vera dabbenaggine.
La prego almeno di chiarire ciò che ho detto e sostengo con i nuovi Soci dell’Istituto, (ma ci spero poco), affinché le mistificazioni e le deviazioni della dottrina junghiana non siano portate al parossismo.
Mi permetta poi un’altra osservazione. Già Jung aveva sottolineato nei suoi scritti che il futuro analista doveva, a sua volta, essere stato analizzato. Io chiedo perché questa disposizione junghiana non venga rispettata nell’Istituto, in modo da garantire ai suoi componenti una preparazione adeguata. Certo Jung, data la sua età5, non può adempiere a tale compito.
Potrei, da parte mia, suggerire all’analista che non ricorda tale disposizione, di sottoporsi al test delle associazioni verbali, che potrebbe, di certo, a delle rivelazioni sconcertanti sul suo stato psichico e sui suoi complessi.
Vorrei pure portare altre critiche alla gestione dell’Istituto, ma non avrebbe il tempo neppure di leggerle, dato il numero esorbitante delle stesse.
Pretendo comunque quale «patrono scientifico» di detto «Centro Studi» che Ella metta a conoscenza gli altri membri del Curatorium dell’Istituto della mia disapprovazione nella gestione dello stesso.
Attendo una risposta a riguardo per l’inizio del prossimo semestre.
Con osservanza,
Sig. W. Pauli
1 Riklin F. (1909-1969), dottore in medicina, Presidente dal 1957dell’Istituto Jung dopo le dimissioni di C. A. Meier (1957). Fu in pratica «un fantoccio» nelle mani della dottoressa Jacobi che del resto aveva trovato i fondi per creare l’Istituto Jung. Da tale data, comunque, l’istituto era andato declinando (N.d.T.).
2 Pauli era stato nominato «patrono scientifico» dell’Istituto per i suoi grandi meriti (premio Nobel per la fisica nel 1945).
3 Cfr. a tal proposito: Meier C. A., Il carteggio Pauli-Jung, Ed. «Il Minotauro», Roma 1999.
4 Dove insegnava ora Meier.
5 Aveva allora 81 anni.