di Riccardo Gramantieri e Fiorella Monti
[Estratto dal libro edito dalla Casa Editrice Persiani, che troverete completo di note nel numero di dicembre 2014]
Freud-Jung: una nuova concezione della libido
Freud pensa (e penserà, malgrado alcuni celati ripensamenti) che la libido sia sempre sessuale; Jung, che parallelamente utilizzava il metodo delle associazioni verbali e per i propri pazienti faceva riferimento alle teorie freudiane già nel 1906, manifesta le proprie perplessità in merito alla definizione freudiana di libido: «la genesi dell’isteria mi sembra prevalente, sì, ma non esclusivamente sessuale» (Freud, Jung, 1906, trad. it. 1974, p. 4). Questa convinzione gli deriva dai suoi studi sulla schizofrenia, nei quali fatica a scorgere esclusivamente una eziologia psichica. Fino al 1911, Jung mitiga questo suo dubbio fino a quasi metter da parte le ipotesi fatte in Psicologia della dementia praecox (1907), dove scrive di complessi di idee che si andrebbero ad associare a complessi già formati precedentemente (ma qui non ha ancora formulato la teoria dell’inconscio collettivo e dei simboli archetipici) e formula l’ipotesi delle tossine della schizofrenia che impedirebbero l’acquisizione di nuovi complessi di idee (1907). Quest’opera contiene già i germi del futuro dissidio, poi reso evidente ne La libido, simboli e trasformazioni (1912).1 La prima rottura fra Jung e Freud avviene infatti sul piano clinico: per lo scienziato svizzero non si può applicare alle psicosi quanto viene pensato e spiegato per le nevrosi, per le quali Freud ravvisa una eziologia riconducibile alla regressione alla fase orale.
Non solo: Freud vede anche nelle psicosi (seppur non sia un campo molto studiato da lui, avendo lavorato quasi esclusivamente con le nevrosi) una retrazione della sessualità (regressione a fase orale, fase che comunque, è sempre sessuale), mentre Jung, seppur accettata la repressione della libido nella nevrosi, non l’accetta nelle psicosi, nelle quali vede non solo la retrazione della sessualità, ma anche una perdita di tutta la funzione del reale, cioè anche della perdita di altre funzioni istintuali. A prova di ciò, Jung fa l’esempio dell’anacoreta nel quale la retrazione e introversione della libido sessuale non causa certo la schizofrenia (Jung, 1913b). Altre prove delle proprie convinzioni le riscontra tanto negli schizofrenici quanto nei nevrotici. Se la libido, intesa come energia psichica, è interamente sessuale (come intende Freud), allora anche il rapporto con la realtà è pensabile come una funzione sessuale. Secondo Jung quindi, essendo la demenza precoce caratterizzata da una bassissima funzione del reale (cioè il rapporto con la realtà è quasi nullo, o molto compromesso), lo schizofrenico dovrebbe avere una perdita libidica enorme, corrispondente a una mancanza di tutte le funzioni pulsionali. Cosa che non avviene. Per quanto riguarda i nevrotici, la loro introversione della libido dovrebbe avere come conseguenza una perdita del senso di realtà paragonabile a quella che si ha nella demenza precoce. Ma questo non accade. Jung perciò non riesce ad applicare la teoria freudiana della libido alla psicosi. Egli deve quindi modificare la definizione descrittiva di libido data da Freud nei Tre saggi sulla sessualità con una più generale.
Le condizioni psicologiche dell’ambiente lasciano dietro di sé tracce mitologiche (Shamdasani, 2003) e l’energia psichica sarebbe perciò verificabile per via indiretta, cioè mediante l’analisi dei miti che si sono succeduti durante la storia dell’evoluzione dell’uomo. In questo modo si dimostrerebbe l’esistenza di una funzione del reale filogenetica solo in parte sessuale. Il concetto di libido junghiana, che comprenderebbe quindi altre funzioni oltre a quella sessuale, come quella di nutrizione, di protezione e autoconservazione, si allargherebbe quindi al concetto di volontà pensato da Schopenhauer2 (e quindi da Adler, anch’egli eretico, al quale Jung, progressivamente sembrò avvicinarsi dopo la rottura con Freud). Già ne Il contenuto delle psicosi (1908, aggiornato nel 1914) scrive esplicitamente che la parola libido «non ha un significato esclusivamente sessuale come nella medicina. Come una volta mi ha proposto Claparède, si potrebbe anche sostituirvi in un certo senso la parola “interesse”, se questa espressione al giorno d’oggi fosse ancora suscettibile di estensione» (Jung, 1908-14, pp. 195-196). Dalla libido sessuale primordiale, quella che spinge a far nascere uova, dopo la procreazione, si svilupperebbero perciò funzioni secondarie desessualizzate di adattamento alla realtà. Jung pensa che «il concetto di libido contenuto nei Tre saggi debba venire ampliato sotto l’aspetto genetico se si vuole che la teoria della libido possa essere applicata alla dementia praecox» (Freud, Jung, 1911, tr. it. 1974, p. 495), cioè alle psicosi, dove il paziente ha perso ogni rapporto con la realtà, e la regressione non porta all’autoerotismo, cioè a stadi precoci di libido sessuale, ma porterebbe all’autismo (Jung, 1912, p. 126), cioè a quegli stadi precoci di libido che sono desessualizzati.
La prova di una concezione filogenetica delle pulsioni viene individuata da Jung nell’archeologia dove «affiorano ricche fonti per la fondazione filogenetica della teoria della nevrosi» (Freud, Jung, 1909, tr. it. 1974, p. 277), cioè «i miti più antichi e più naturali. Essi parlano naturalmente del complesso centrale delle nevrosi» (Freud, Jung, 1909, tr. it. 1974, p. 282). Jung si addentra così nella sua ricerca dell’inconscio filogenetico, e la sua intuizione è che si possa formulare «in luogo del concetto descrittivo di libido, un concetto genetico, il quale comprende oltre alla libido recente-sessuale anche quelle forme libidiche presenti da tempo immemorabile in strutture saldamente organizzate» (Freud, Jung, 1911, trad. it. 1974, p. 507).
L’opera che pone le basi della concezione junghiana della libido e che renderà eretico Jung agli occhi di Freud è La libido, simboli e trasformazioni.3 La prima parte, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, viene molto apprezzata da Freud,4 mentre è la seconda parte dell’opera, ove viene dato rilievo alla figura della madre (e non al padre, come nella metapsicologia freudiana), a produrre la grande separazione fra i due scienziati.5
La libido, simboli e trasformazioni è un’opera sincretistica che fonde la psicoanalisi con la filologia e la mitologia comparate e la biologia evoluzionistica, coniugando la mitologia sessuale e la mitologia solare per spiegare le origini dell’anima e della cultura umana (Noll, 1994). Lo spunto che Jung prende per esporre le proprie scoperte è l’analisi delle poesie di Miss Frank Miller.6 Egli intende dimostrare che le forze mitopoietiche non si sono estinte nell’antichità (miti greci, miti meso-americani, miti indù), ma che sopravvivono nelle creazioni moderne attraverso i sogni, i quali sarebbero appunto mitopoietici in quanto produttori di simboli (Steele, 1982). Con Jung la psicoanalisi diviene archeologia dell’anima (Noll, 1994).
Il desiderio erotico provato da Miss Miller viene sublimato in forme fantastiche; cioè la libido verrebbe trasformata nella poesia e nella mitologia, principalmente nella figura dell’eroe azteco Chiwantopel (Steele, 1982). In questo modo La libido, simboli e trasformazioni evidenzia la possibilità che la libido attui un bilanciamento erotico fra pulsione sessuale e creazione intellettuale: in Miss Miller avviene attraverso la creazione poetica; nella collettività avviene con la religione (Steele, 1982). Esiste per Jung una funzione compensatoria del simbolo che si manifesterebbe nei due opposti, l’aspetto carnale del desiderio, e l’aspetto spirituale della creazione. Ma se una revisione del concetto di religione poteva essere condivisa da Freud, non poteva invece esserlo la modifica del concetto di libido (anche se qualche anno dopo egli postulò l’istinto di morte). Lo scienziato svizzero propone che la libido, dato che nella psicosi si ritira dal mondo esterno, non possa essere del tutto sessuale (come immaginato da Freud)7, ma che debba essere anche altro, una sorta di energia psichica che si manifesta come tendenza e desiderio, un impulso vitale.8 La libido sarebbe quindi biforcata, una parte verso il passato e una verso il futuro, una parte regressiva, e una progressiva (creatrice).
Con la nuova definizione di libido e con la scoperta del matriarcato primordiale, nel libro vengono demoliti due paradigmi del pensiero freudiano: l’incesto, e quindi il complesso di Edipo, e lo sviluppo stadiale del bambino. Per Jung infatti è impossibile pensare il problema dell’incesto come realistico:9 l’incesto sarebbe in realtà una fantasia alla pari del cosiddetto trauma sessuale, creduto reale da Freud e poi scoperto fantasticato. Gli stadi evolutivi del bambino inoltre non sarebbero quelli ai quali gli psicotici più regrediti ritornerebbero, in quanto essi presentano nelle loro fissazioni e allucinazioni, simboli più antichi di quelli infantili, addirittura risalenti a quelli delle prime società umane. Si può aggiungere che se per Freud i primi stadi dello sviluppo psicosessuale del bambino ricapitolerebbero l’acquisizione della stazione eretta da parte degli ominidi, per Jung tali stadi corrisponderebbero a periodi molto più preistorici e asessuati, in cui la pulsione principale era la nutrizione. Queste immagini primordiali che Jung descrive ne La libido, simboli e trasformazioni, prendono prima il nome di “dominanti”, e successivamente di “archetipi”. Infine, e questo è il colpo “mortale” che Jung assesta alla teoria della pulsione sessuale freudiana, la libido viene pensata come energia psichica al servizio non solo della sessualità, ma anche della nutrizione e della crescita. In base a quest’assunto, scompare la definizione di bambino come perverso polimorfo avanzata da Freud. Jung infatti non crede nella sessualità infantile, che giudica biologicamente inammissibile per mancanza di supporto ormonale (Rodrigué, 1996), e afferma che la libido nei primissimi stadi dell’infanzia sarebbe indirizzata alla nutrizione e alla crescita, mentre lo sviluppo sessuale avverrebbe negli anni in cui Freud individua il periodo di latenza, destinato a continuare nel momento della maturità sessuale.
Ne La teoria della psicoanalisi (1913) Jung divide la vita umana in tre fasi. Lo stadio presessuale dei primi anni di vita corrisponde allo stadio di bruco nelle farfalle; negli esseri umani l’infanzia è caratterizzata pressoché esclusivamente dalle funzioni di nutrizione e crescita. Nella seconda fase pre-puberale, che arriva appunto alla pubertà, nasce la sessualità, quando la libido alimentare viene convertita lentamente in libido sessuale, lasciando la regione orale per proseguire nella zona sessuale e dare occasione ai primi tentativi di masturbazione; non esisterebbe quindi alcun periodo di latenza. La terza fase, della maturità, è quella della vita adulta, dalla pubertà in poi. La differenza fra i vari stadi è data dal cambiamento di localizzazione della libido: nel fanciullo la libido è occupata da funzioni sussidiare (crescita, nutrizione), e non da funzioni localizzate (sessuali). In questo caso, Jung toglie al termine “libido” l’attributo freudiano “sexualis” (Jung, 1913a). Questa differenziazione della localizzazione della libido permette a Jung di pensare, ancora differentemente da Freud, che le nevrosi non abbiano radici (solo) nella prima infanzia, ma anche (e soprattutto) nella attualità della persona. Le rimozioni psichiche dovute all’attivazione dell’inconscio collettivo, per Jung avverrebbero nell’età adulta. Nel suo Sulla psicoanalisi (1916), Jung afferma infatti che le fantasie infantili del nevrotico non danno una spiegazione sufficiente dell’eziologia patologica, perché queste fantasie sono semplicemente ingrandite dalla libido regressiva che non ha trovato lo sbocco naturale in una forma di adattamento alle esigenze della vita.
Jung vuole evitare che si pensi alla sua nuova concezione della libido come a una revisione delle teorie freudiane, e come a suggellare la separazione, in Energetica dell’anima (1928; anche col titolo di Energetica psichica), presenta dei riferimenti bibliografici diversi da quelli classici della psicoanalisi, quali i testi di Nicolas von Grot che affermava, già nel 1898, come «il concetto di energia psichica è, da un punto di vista scientifico, altrettanto legittimo quanto quello di energia fisica, e l’energia psichica ha le stesse misure quantitative e le stesse diverse forme dell’energia fisica» (Jung, 1928, p. 14).
Modello freudiano e junghiano
Si può tentare di riassumere le principali diversità fra i due modelli di pensiero per quanto riguarda il dinamismo psichico, e gli elementi che contraddistinguono le diverse strutture mentali. Le istanze freudiane hanno una maggior ampiezza rispetto alle junghiane (l’Io e il Super-Io hanno una parte conscia e una inconscia), le quali sono meno definite (Jung parla di caratteri e di archetipi).
Il dinamismo freudiano, presuppone, nella seconda topica, che le tre strutture, se in conflitto fra loro, creino la nevrosi:10 l’Io, che si trova nell’impossibilità di gestire la compatibilità fra richieste del mondo esterno e quelle interne (sia della legge morale del Super-Io, sia del soddisfacimento della libido dell’Es), sviluppa difese nevrotiche. In Jung invece la causa delle nevrosi sarebbe dovuta alle opposte personalità (o opposti complessi, che agiscono in maniera complementare al fine di formare una totalità); ad esempio un’apparenza esterna matura e una interiorità infantile.
Dal punto di vista strutturale si può evidenziare che Freud, nella seconda topica, descrive una parte inconscia sia dell’Io che del Super-Io (v. fig. 7); in Jung l’Io è invece strettamente correlato alla coscienza e contrasta l’emergere dei complessi dall’inconscio profondo. Per Jung la personalità riflette l’Io, il quale non è solo il centro del campo di azione della coscienza, ma anche il soggetto di tutte le azioni coscienti dell’individuo (Frey-Rohn, 1969). Quest’affermazione contrasta con quanto ipotizzato da Freud, ma esiste comunque una similitudine fra i modelli freudiani e junghiani, in quanto si può ipotizzare una sovrapposizione di aree di influenza delle strutture. E questa sovrapposizione, o estensione dell’Io junghiano, avviene attraverso il Sé.
L’Io e il Sé junghiani sono uno causa dell’altro. Anche se può sembrare paradossale, poiché l’Io è una parzialità mentre il Sé è una totalità, le due strutture junghiane sono incluse reciprocamente: l’Io nasce dal Sé, come il Sé nasce dall’Io. Mario Trevi fa l’esempio metafisico del rapporto uomo-dio: l’uomo è creatura di Dio, ma anche «Dio è prodotto dall’uomo in ogni momento della storia, in una sorta di nascita eterna. E Dio ha bisogno dell’uomo quanto l’uomo di Dio» (Trevi, 1988, p. 110). Il Sé è la figura della totalità psichica, il complexio oppositorum, la personalità integrale (Barone, 2004). Questo concetto di un’istanza, capace di riassumere l’intera personalità, discende direttamente dalla teoria unificante della libido, e contrasta fortemente con la definizione freudiana di libido. Come si è visto, per Freud la libido guiderebbe il comportamento dell’individuo attraverso l’Es. L’Io, che dovrebbe derivare dalla funzione di realtà, in quanto struttura scaturita inizialmente dall’Es, avrebbe invece la strada già segnata dalla libido sessuale. Ma in Analisi terminabile e interminabile Freud ammette che, seppur l’Io e l’Es originariamente siano una cosa sola, esisterebbero comunque delle direzioni dell’Io già definite sessuali (Freud, 1937), e questo sarebbe in parte contraddittorio con quanto asserito precedentemente, e in parte converrebbe con la teoria unificante di Jung, a conferma che diverse idee junghiane sono state prima rifiutate e poi accettate da Freud.
Lo schema del Sé junghiano viene descritto da Farau e Shaffer (1960) in questo modo:
occorre immaginare il Sé, circondato dal mondo esterno e da quello interno, l’uno rivolto al conscio, l’altro rivolto all’inconscio collettivo. La zona limite è rappresentata, come abbiamo già detto, dall’inconscio personale. La volta superiore del Sé, che assorbe il mondo esterno, consiste nell’Io; di fronte all’Io, come il polo inferiore di fronte al mondo individuale, sta l’Ombra. E come l’Io rappresenta l’ingresso nel mondo concreto, così l’Ombra costituisce l’accesso al mondo del profondo. Laggiù, immerse nel profondo ancor più dell’ombra, stanno le immagini originarie dei sessi opposti, l’Anima nell’uomo e l’Animus nella donna, mentre nell’altra parte del mondo, in quella cosciente, l’Io è coperto dalla Persona. La Persona è l’Io convenzionale, la maschera sociale di protezione, il nostro comportamento nella vita quotidiana.
(Farau e Shaffer, 1960, p. 114)
Tenendo conto delle funzioni e definizioni delle diverse strutture junghiane, si può riproporre lo schema freudiano adattandolo alla ripartizione junghiana, come in figura 9,11 dove il Sé viene posto al centro, e non nelle profondità dell’inconscio collettivo dove ci si potrebbe aspettare, questo perché «il Sé è la consapevolezza immediata della tua unicità, ed è un’unicità che in certo modo è assolutamente personale, assolutamente intima. È la tua unicità» (Jung, 1934-35, p. 161). […]