di Giuseppe Capone
Oltre che nella Teogonia di Esiodo la tradizione del mito di Prometeo è affidata alla tragedia di Eschilo Prometeo Incatenato, che faceva parte di una trilogia andata perduta.
Nella tragedia di Eschilo il mito di Prometeo ci viene proposto come un maestoso e significativo racconto, che si apre con una scena terribile di punizione e si chiude con un’analoga scena di sventura.
Efesto, nella terra più lontana e inaccessibile agli uomini, deve incatenare ad una rupe Prometeo per il furto del fuoco donato agli uomini e origine di ogni arte. Si tratta di una terribile punizione, che Efesto compie a malincuore, perché Prometeo è divino al pari di lui e perché si tratta di un supplizio perenne, lontano da ogni possibilità di consolazione e liberazione.
Prometeo ha ignorato gli ordini del padre, non ha temuto l’ira degli dèi, ha dato agli uomini ingiusti privilegi. Solo la tracotanza, la smisurata superbia ha fatto dimenticare a Prometeo che l’unico vero potere, l’unica vera libertà è quella di Zeus.
I ceppi che Efesto costruisce penetrano profondamente e avvolgono come una rete l’intero corpo di Prometeo; questo richiede l’ordine di Zeus, questo è costretto a fare il riluttante Efesto.
Ad assistere alla scena stanno la silente Bia, la violenza e l’incalzante Krtos, la forza, che prima di allontanarsi dal luogo del supplizio irride a Prometeo, che nonostante la sua preveggenza, non è stato in grado di prevedere la sua sorte.
A questo punto il protagonista del dramma entra in scena, chiamando a testimoni della sua pena le grandi potenze cosmiche, Terra, Sole, Etere e Venti, il suo è soprattutto un grido di protesta, un urlo di ribellione.
Cosa accadeva agli uomini mentre Prometeo era incatenato alla roccia? E dove si trovavano gli uomini mentre Prometeo soffriva per il danno arrecato agli dèi?
[…continua nel numero di dicembre 2019]