di Eros Lancianese, psicologo psicoterapeuta analitico
INTRODUZIONE
Provare a descrivere quello che è accaduto all’inizio della seconda settimana di questo Marzo può non essere semplice: non è semplice perché ognuno di noi, nel mentre si propagava un contagio mondiale di un virus dai contorni clinici ancora non ben definiti, era immerso nella propria vita, nelle proprie speranze e i propri progetti, soffriva per un rinnovo di un contratto di lavoro, una separazione dolorosa, un cambio di vita che doveva arrivare o un bonifico che avrebbe sistemato i suoi conti precari. C’era chi stava riorganizzando una vita dopo un divorzio o iniziava una convivenza, alcuni erano immersi in battaglie sociali, altri a far prosperare una multinazionale, chi era stressato per la preparazione di un esame o semplicemente sprofondato nel divano a consumare l’ennesima serie televisiva nel tentativo di distrarsi e non pensare.
Quello che poi è accaduto con la preliminare chiusura di alcune provincie il 7 Marzo del 2020 e il consecutivo lockdown nazionale del 9 marzo può essere anche stato, come ha scritto la psicologa della salute Elke Van Hoof della Libera Università di Bruxelles, una sorta di involontario «enorme esperimento psicologico più vasto che si sia mai portato avanti» volto a salvaguardare la nostra salute ma è, e rimane, un’emergenza sanitaria planetaria che ci interessa ancora in questo momento e che ha modificato in modo significativo le nostre vite e con esse i nostri comportamenti e le nostre relazioni.
Il Covid-19 ci ha costretto ad un difficile sistema di riadattamento complessivo delle nostre abitudini, assolutamente ruvido ed inedito, che è dovuto passare attraverso profonde e dolorose prese di coscienza collettive che erano passaggi obbligati per reggere un lutto al quale non eravamo pronti. Quale lutto? Quello del nostro stile di vita.