La struttura Trinitaria nel modello junghiano del Selbst

Prima di quell’era promulgata da Gioacchino da Fiore e gli Spiritualia, una sintesi non era stata auspicata se non nel modello della refutatio trinitaria di Gerhard Dorn ove Sulphur, Mercury e Salt stavano all’equazione trinitaria e monadico-centrica di auctor rerum, filius e Spirito Santo. In merito ad una rivisitazione ben sperata nel canone della beatificazione e dell’Assumptio Mariae, Jung potè ripercorrere nel suo Mysterium coniunctionis (1955-56), le fasi di una restitutio ad integrum nel corpo della Mater Coelestis provenendo da testi alchemici come l’Aenigma Bolognese,  Dicta Belini, l’Allegoria Merlini e last but not least un testo come l’Aurora consurgens che produceva un simbolismo alquanto desueto ma coerente con ciò che lo psicanalista zurighese voleva rappresentare nel rapporto della sizigia controsessuale e nel parallelo Rex e Regina, Anima ed Animus. La refutatio dorniana promulgava la scissione del binarius, il dies lunae, il secondo giorno della creazione di lunedì, ove sopra il diluvio e l’ampio Firmamento scese l’ombra del male: il femminile. E Dorn contemplava questa scissione nel corpo teologico della Trinità mentre altri come Paracelso e Maier ridestarono i simboli pagani e la matrice ellenica. In Paracelso si scindevano due anime: un’anima naturalier christiana e l’altra naturaliter pagana. Due mondi che prima non sentivano ancora la tensione religiosa e la contrapposizione di logos e eros al chè il medico astrologo di Basilea potè sfrondare il corpo fisico o siddetti corporalia in concomitanza con gli astralia. L’anima iliastri di Paracelso più che una scissione del binarius proposta successivamente dall’allievo Dorn, è una congiunzione degli astri, un homo maior che riviveva nell’istanza del Protoplasmus superiore. C. G. Jung considerò questa coniunctio magna come una ricomposizione empirica del Selbst nel diramarsi psicofisico dei corpi luminosi che rispondevano di per stessi ad una struttura prototipica: il Corpus lucens o Firmamentum paracelsiano. Da questa genesi si alvea la struttura dell’inconscio collettivo che è di per se stesso una struttura macrocosmica che compenetra l’individuo atto a divenire sintesi (homo maior) di cosmo e microcosmo. Il Filius macrocosmi che aleggia nei flutti delle acque primateriali sta a questi come un filius sol che capta le innumerevoli frequenze caleidoscopiche quanto sono i metalli e i minerali e la sfera dei pianeti. E’ un archetipo del “wholeness” che vive all’interno di utriusque cosmi già correlato in immagini da Robert Fluud (1574-1637). Il “wholistic center” come archetipo della totalità interessò Jung nella ricerca di un simbolismo idoneo che si doveva tanto prefigurare nell’archetipo di Cristo tanto nell’Ichthys e nel simbolo della pietra filosofale degli alchimisti. L’avvento di questa trasposizione per immagini avverrebbe in Aion (1951), opus che Jung stesso allestì di corposi commentari biblici ai salmi così come alla profezia ed al Talmud nonchè alla menzione di un avvento di quel regno fondato da un ordine monastico benedettino, l’era degli Spiritualia di Giocchino da Fiore. L’età dello Spirito Santo nella rielaborazione junghiana fonda alle origini il ka-mutef egizio, quell’homoousia tra padre e figlio che promosse la teoria patristico-cristiana del Paraclito. Non solo ma Jung aggiunse a questa visione quella quaternaria (vedi C. G. Jung, cit., Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità., Il problema del Quattro, Op. Vol. 11) l’inclusione del tanto sopracitato binarius dorniano come quella inclusione del femminile demonizzato. Se Jung citava in auge i simboli trini egli si preoccupò più di redimerli che di curarli con l’integrazione della formula quaternaria, la tetraktys che stava a questi nelle sembianze del filius macrocosmi. Era la possibilità per lo psicologo svizzero di incamerare le quattro funzioni: la funzione differenziata, quella meno differenziata, la funzione ausiliare in cui si scorgeva l’ombra primordiale della simia dei  e il gibbone che funge da compensazione con il rivestimento onirico nei sogni e con quel processo che unilateralizza la coscienza nel dogma della differenziazione. La capacità di attivare l’artifex e quindi di ritornare a stadi pregressi era precipuo dogma dell’alchimia al chè corroborando un istanza naturaliter religiosa a quella pagana la sintesi ben sperata avveniva all’interno del filius philosophorum. Filius philosophorum che atteneva a specifici procedimenti alchemici nel consolidamento di un lapis, l’Herakleion lithon che promanava l’indicibile esperienza psichica e l’actractio del magnete. Questo magnes doveva essere tratto dal figlio dei filosofi che immergendosi nell’acqua resuscitava il nobilissimus thesaurus che proveniva dall’indicibile identità con la dracontius lapis, la pietra ossidiana (opsianus lithos) che rivelerà le qualità di una pietra cinedica, un alessifarmaco in grado di sciogliere le insidie più velenose. Il familiaris è perciò una struttura del Sè come Jung aveva ben compreso. Il “simile cura il simile” di Paracelso che vedeva riflettere nell’arcano contenitore di analogie e segni indecifrabili, le idee alquanto “bizarre” di Jung che propendevano per una riassimilazione dei miti alchemici nell’inventario psicoanalitico fino ad allora terra di maestranze freudiane.

 

Diego Pignatelli Spinazzola
Riferimenti:

Jung C.G., Mysterium coniunctionis (1955-1956), vol. XIV, tr. it. in Opere, a cura di Massimello M.A., Bollati Boringhieri, Torino 2008.

Jung C.G., Psicologia e alchimia (1944), vol. XII, tr. it. in Opere, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2006.

Jung C.G., Psicologia e religione: Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità, Bollati Boringhieri, Torino 2013.

Jung C.G., Studi sull’alchimia, in Opere, vol. XIII, tr.it.in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 2008.

Fluud, Utriuscque Cosmi I, Oppenheim 1617, in Roob A., Alchimia & Mistica p. 405, Taschen 2011.

 

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